Recensioni

John Surman – Words Unspoken

Scritto da Sara Bonfili

Il nuovo lavoro di John Surman non vi stancherà, si rinnoverà ad ogni ascolto

Questo disco di ECM, “Words Unspoken”, è certamente una mescolanza strana ed evocativa. In questo caso mi fa pensare a viaggi nei mari del Nord, cosa che anche la copertina suggerisce, anche se il sax soprano ha sempre un che di orientale per il suo timbro.
Il sassofonista inglese John Surman, a lungo residente ad Oslo, è noto per la sua varietà di proposte, il suo interesse per la musica folk nordica e britannica, di cui tornano i costrutti melodici. Ma anche per il suo jazz modale.
Qui è accompagnato dal vibrafonista americano Rob Waring, la chitarra di Rob Luft e dal batterista norvegese Thomas Strønen.
Words Unspoken
, la title track, ha l’aspetto di una improvvisazione del sax baritono sul tappeto sonoro creato dagli altri tre strumentisti, forse l’unico brano in cui emerge il protagonismo del sax. Per tutto il resto del disco si crea un dialogo molto cinematografico e serrato.
“Molto spesso le impressioni e le storie possono essere varie, e in qualche modo sembrano avere un senso per le persone interessate. Questo è un lato del titolo Words Unspoken” scrive l’autore nelle note di copertina “ma l’altro si riferisce al modo in cui volevo che affrontassimo la musica come gruppo. Ho semplicemente portato alcune idee ai musicisti e, senza discutere chi avrebbe suonato cosa e come avrebbero preso forma le melodie, avremmo provato a mettere insieme gli elementi semplicemente ascoltandoci a vicenda e reagendo di conseguenza.”
Il pezzo di apertura invece prende spunti dalle melodie scozzesi delle cornamuse con il vibrafono e il sax soprano ad avvicendarsi tra la ritmica. È in Precipice che il tono orientaleggiante di cui parlavo prima emerge, grazie alle piccole escursioni melodiche del sax soprano.
Tra gli altri brani che non si differenziano molto tra loro come intenzione – il vostro viaggio sarà a volte straniante come in Belay That o in Bitter Aloe, a volte movimentato e un po’ prog come in Onich Ceilich   – il disco scivola via mentre guardate fuori dalla finestra, e vi pare di intravedere le Higllands o i fiordi, tra i vostri tetti di città sormontati da antenne.
Hawksmoor è il brano che conclude in stile più contemporaneo questo album iniziato con l’omaggio al folk, e inizia con una danza ritmata dalla batteria del clarinetto basso, strumento per la verità più classico che jazz, e si trasforma con le sincopi di vibrafono e chitarra, che aggiungono un gusto jazz progressive.
Di questo sassofonista quasi ottantenne non c’è da dire altro, se non ricordare la sua datata e varia schiera di collaborazioni: con Ronnie Scott, in duo con Jack DeJohnette o Howard Moody, con ensamble come i London Brass, con l’Anouar Brahem’s Thimar trio con Dave Holland e i Brewster’s Rooster (John Abercrombie, Drew Gress e Jack DeJohnette.) Ha collaborato con i progetti condotti da altri grandi leader come Paul Bley, Miroslav Vitous, Tomasz Stanko, Misha Alperin and Mick Goodrick.
Quest’ultimo disco non vi stancherà, si rinnoverà ad ogni ascolto.

Words Unspoken, John Surman,
2024, ECM

About the author

Sara Bonfili

Sara Bonfili è giornalista pubblicista, videomaker e PhD in Italianistica, mamma di due maschi, innamorata della musica, soprattutto rock e jazz. Ama spezzare la monotonia delle attività quotidiane con mostre, ascolti, letture e tanta curiosità. Naturalmente, per riuscirci, non può che essere ottimista!

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